in line dotout

IN Line

La linea In rappresenta l'interpretazione in chiave moderna del ciclismo più tradizionale, dalla strada al gravel.

 Capi dallo stile minimal e contemporaneo, con colori di tendenza, un fit attillato di ispirazione race e soluzioni tecniche funzionali a migliorare performance e comfort.

FREE Line

La linea Free è dedicata a quanti affrontano il ciclismo con uno spirito libero e indipendente, a contatto con la natura, più inclini all'avventura e al turismo e meno alla corsa.

Capi con un un fit più rilassato, estremamente versatili, ideali per bici off road, gravel, e-bike ma anche per ciclismo urban e commuter.

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La birra, il Belgio, Torino: Davide De Giorgi e le sue due ore.

L’odore del luppolo è inconfondibile, ma difficilmente spiegabile. È unico e, proprio per questo, provare a descriverlo è praticamente impossibile. «Ti sbagli – mi interrompe Davide – noi lo definiamo come un mix di sentori erbacei, citrici, agrumati, speziati, floreali, terrosi, resinosi e fruttati». Scoppiamo in una risata mentre ci stringiamo la mano: se si inizia così, penso, non oso immaginare cosa ci riserverà la giornata.

È mattino e fa un certo effetto entrare in un birrificio a quest’ora. Siamo abituati ad associare questo ambiente al momento del relax, del divertimento, quello dalle 18 in poi, per rendere l’idea. Eppure, ovviamente ma senza che ci si rifletta spesso, ci sono persone che sin dall’alba dedicano corpo e mente per far sì che noi possiamo sederci a un bancone, ordinare una birra e decretare che la giornata lavorativa sia finita. Davide è uno di questi.


Ma Davide è anche un appassionato della bicicletta. Uno di quelli che appena può salta in sella: due orette in settimana per distrarsi un po’, il lungo nel weekend, qualche chilometro di commuting o per andare a visitare i clienti. È così che si uniscono due mondi che solo chi frequenta entrambi, sa quanto siano vicini.

«Non so bene perché ma, senza una ragione precisa, ho iniziato a seguire il ciclismo nei primi anni ’90, cominciando a guardare in tv i grandi giri. Ho fatto in tempo ad amare ed odiare con passione Bugno, Chiappucci e Rominger, nella speranza che potessero spodestare Indurain, di cui solo in epoca più recente ho davvero capito la classe. Inutile dire quanto mi sia goduto tutta l’epoca Pantani, le sfide con Tonkov e Ulrich, e tutto quel fantastico ‘98», mi racconta Davide mentre illustra con accuratezza il processo produttivo aziendale del birrificio Edit Brewing.

«Che momenti poi con i vari Tafi, Bartoli, Bettini. Non c’era Classica o tappa di un grande giro che non seguissi in televisione e, quando possibile, dal vivo. Però finiva tutto lì. Il mio sport era lo snowboard, la vita che volevo era in montagna, il mio sogno era diventare maestro. Ci sono andato molto vicino, ma ginocchia fragili e portafogli vuoto hanno fatto sì che mi rassegnassi alla vita quotidiana. Così continuai a fare il commerciale, senza troppa ispirazione, come agente nel campo dell’arredamento».

È un fiume in piena, Davide, mentre racconta la sua vita. Una storia come tante, comune, ma eccezionale proprio per questo.
Mentre ci prepariamo per la sgambata pomeridiana, però, tutto cambia. Bevute, corsi, chiacchiere, ancora bevute, ancora corsi e ancora chiacchiere: il mondo della birra artigianale diventa un fulcro nella quotidianità di Davide, ed è lo spunto per svoltare.
«Ci metto un po’ ma alla fine mollo tutto e decido che è ora di cambiare. Le occasioni per lavorare nel mondo della birra erano poche ma il Belgio mi viene incontro. Per un paio d’anni mi nutro a pane e acqua, ma pian piano entro nell’amichevole staff di una start up d’importazione di birre dal belga. Decine di giri in furgone in quella che diviene per me un po’ terra promessa e un po’ seconda patria. Ovviamente per la birra, ma anche per la loro smisurata passione per la bici».

«A proposito, sai come mi hanno insegnato a chiamarla, lì, la birra?».
«Spara», rispondo.
«Lubrificante sociale!».
Tempismo perfetto: mettiamo due gocce d’olio sulla catena, gonfiamo le gomme e siamo pronti per le nostre due ore.

Con gli ultimi spiccioli rimasti sul conto, per i suoi 40 anni, Davide compra la prima bici degna di questo nome. «Mi ha portato in ogni posto dove gli infortuni mi hanno permesso di arrivare e tutt’ora la uso costantemente. Ancora godo pensando alla soddisfazione della prima volta che sono arrivato al Faro della Vittoria, in cima al Colle della Maddalena, a Torino. E pensare che adesso è diventato uno dei miei giri settimanali».

Il capoluogo piemontese è una di quelle città dove, un amante della bici, può sbizzarristi. Lo spiega bene Davide, tra un colpo di pedale e l’altro. «La Panoramica, Superga e la collina torinese tutta. In un attimo sei in mezzo a un bosco e puoi allenarti su dislivelli mica da ridere. Poi ci sono i parchi, dove mi invento dei giri da ciclocross: asfalto, ghiaia, rampe, cicottolato, contropendenze, umidità. Insomma, in Belgio ho imparato non solo tutti i segreti della birra, ma anche che in bici si va ovunque!».

Il sabato, come accade un po’ a tutti, è il giorno del lungo. Niente impegni lavorativi, la birra solo come nutrimento post pedalata, e tanti chilometri da macinare nelle valli. «È bizarro: più aumentano gli anni, più aumentano i chilometri che riesco a fare in sella. È una gioia, ora, scalare su due ruote proprio quelle montagne che, fino a quindici anni fa, volevo fossero la mia vita. Ora ne fanno parte comunque, seppure in maniera differente».

Rientriamo in birrificio, per scambiare le ultime battute. Davide è sereno, lo si vede dallo sguardo. «Lavoro come Sales Manager da EDIT Brewing. Rimango nel mio mondo, resto commerciale, ma ne sono felice. Le grane sono sempre le stesse ma l’universo della birra è senza dubbio più allegro, più interessante, in evoluzione e continua ad appassionarmi, come la bici. Non timbro il cartellino e alterno settimane piene, con giornate da dodici ore di lavoro, ad altre dove posso gestire il tempo, e godermi le due ore in sella quotidiane.

Poco importa se al sole o sotto la pioggia: sono le mie due ore. È oramai una necessità: vivere quei momenti in cui ci si isola da tutto e tutti, dalle auto che abbiamo intorno, dalla gente che parla al telefono. Per trovare, pedalando, quel silenzio che solo un po’ di fatica ed un cielo a portata di sguardo riescono a regalare. Un semplice, ma per nulla banale, giro all’aperto che si conclude ovviamente al bancone, pronto a ricevere una buona birra appena spillata coronata dal suo cappello di schiuma».

Frasen Works

Come nascono le migliori ruote sul mercato? Cosa c’è dietro ad una scelta di vita? Questa è la storia di Frasen Works e, ovviamente, delle sue due ore

Il corridoio è spazioso ma la luce fa fatica a trovare spazio. L’officina, invece, ha due grosse finestre da cui entra un sole accecante e caldissimo anche se siamo ancora in pieno inverno. D’altra parte il Mediterraneo a queste latitudini sa essere davvero accogliente sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello climatico. Ed è proprio questo tepore a trasmettere un senso di tranquillità che è raro trovare in un luogo dove iconograficamente ci aspetteremmo odore acre, rumore assordante e disordine dappertutto.
Che qualcosa non quadrasse l’avevamo capito subito, sin da quando siamo stati invitati al quarto piano di un palazzo di metà anni 90, sulla Rambla del Poblenou, a poche centinaia di metri dal porto olimpico di Barcellona, la sede di Frasen Works: dove vengono assemblate alcune tra le migliori ruote che il mercato ciclistico conosca. Spesso il soprannome non lo scegli, ma è un qualcosa che ti viene affibiato dagli amici senza nemmeno un perché. Certe volte si enfatizza una caratteristica fisica o comportamentale, altre volte si fa leva sul luogo di provenienza, altre ancora si tronca semplicemente un cognome per essere più veloci quando è il momento di chiamarti o di parlare di te. L’unica cosa che è davvero necessaria, per un soprannome, è avere qualcuno che te lo dia. In questo caso il merito è della crew, di quel gruppo stretto di amici con cui condividi una passione e un’identità che non ritrovi né in famiglia né a scuola: così Davide Frassine diventa Frasen e Frasen Works diventa un brand.

«Sono sempre stato interessato a quelle che si definiscono le subculture. All’inizio per me esisteva solo lo skateboard ed per questo che ho deciso di trasferirmi qua: marciapiedi, scalinate, un lungomare bellissimo, tutto era “skateabile”, un paradiso insomma. Da lì qualcuno di noi è stato attratto dal mondo dello scatto fisso, una delle altre subculture più influenti degli ultimi anni, che vedeva Barcellona vestire il ruolo di città simbolo insieme a Milano, Londra e New York. Infine c’è stato il passaggio inevitabile al ciclismo canonico, seppur con uno stile differente, dove la performance non è tutto, anzi. Il punto forte è l’aggregazione: ci si ritrova, due orette in bici, un paio di birre, quattro risate e via.»

Tendenzialmente chi si fa travolgere dalle subculture lo si può definire un nerd ma nel senso buono del termine, ovviamente. Sì perché quella nuova visione della vita ti entra talmente dentro che diventa prioritaria e, a quel punto, inizi a studiare tutto di quel mondo che ti ha inglobato. Piccolezze, tecnicismi, slang, in un attimo ti trasformi in un nerd. «C’è chi si è appassionato più al telaio, chi alla gruppo cambio, chi agli accessori e chi, come me, a quell’invenzione che migliaia di anni fa ha rivoluzionato il mondo: la ruota». Sono scelte che non si fanno col pensiero ma vengono naturali: quello che si può definire il talento. 
Così un giorno crei una ruota per un amico, poi per un altro e un altro ancora. Funzionano, loro sono contenti e capisci che la strada intrapresa è quella. Non sai nemmeno bene come, ma dopo tre anni il tuo appartamento si è trasformato in una officina. Non c’è neanche più spazio per la spesa: tutta la casa è occupata da cerchi, raggi e ogni attrezzo possibile e immaginabile. E poi cartoni, cartoni e cartoni. «Per questo è necessario avere ordine ed essere disciplinati, altrimenti rischi che la casa diventi letteralmente una discarica.»

Barcellona è una città che accoglie, ti stringe a sé. Un po’ come tutte le grandi città, anche se poi non è così grande come uno si potrebbe immaginare. «L’effetto, però, è quello delle metropoli: dopo una settimana che vivi qua, ti senti di qua. E se ti chiedono di dove sei, rispondi subito di Barcellona!, anche se magari ci sei arrivato quattro giorni fa.»
«E poi la figata di Barcellona è che hai tutto», ma non quel tutto che possiamo pensare: non si tratta di mostre, musei, concerti. O meglio, sì, c’è ovviamente anche quello come in ogni grande agglomerato. «Intendo dire che hai mare, collina e montagna poco distante: se ami andare in bici è un vero paese dei balocchi. Soprattutto per chi, come me, riesce a ritagliarsi due ore durante la giornate e non ha tempo di spostarsi con macchina o mezzi per raggiungere una salita o un luogo particolarmente attraente dal punto di vista ciclistico. Qua, semplicemente, esci da casa e ti butti verso l’entroterra: trovi davvero di tutto a brevissima distanza». Percorsi gravel, lunghe ascese su asfalto, mangia e bevi collinari spacca gambe: tutto questo nel giro di qualche chilometro. «Pensa che se vuoi allenarti bene, puoi addirittura fare le ripetute in salita in centro città. Capito cosa intendo?».

Ma quando il ciclismo diventa il tuo stile, non è più solamente sport. Il ciclismo, e ritorniamo alle subculture, è vita reale: 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Così anche ogni spostamento in città viene fatto su due ruote: la bici preferita in questo caso è una gravel, «in maniera da poter saltare su e giù dai marciapiedi senza problema, proprio come con lo skate». La scelta della scarpa da mtb con la quale camminare e da portare durante un aperitivo con gli amici è poi quel dettaglio che funge da segno di riconoscimento: ti guardo e ho già capito tutto di te. È esattamente un po’ come quando vedi un metallaro, che è metallaro sempre. O uno con l’Harley Davidson, che è harleysta sempre.Due ore in bici, le sue due ore, e poi di nuovo in officina e di nuovo quel tepore unico. Vedere le mani impegnate con mozzi e cerchi di ogni tipo ti trasportata in un’epoca lontana dove, con lavoro manuale e concentrazione, ogni creazione era un’opera d’arte.
«Sono movimenti che ti portano fuori dal tempo, quasi come se l’orologio non esistesse più e la vita si prendesse un po’ di pausa da te. I problemi se ne vanno, non esiste ieri e non esiste domani, ma non esistono nemmeno cinque minuti prima e cinque minuti dopo».
L’essenza dell’artigianalità che, spesso, dimentichiamo derivare proprio da arte.

Fortunatamente è anche business, guadagno, un modo per portare a casa la pagnotta insomma. Sono tanti i brand che si rivolgono a Frasen Works, tra cui Mavic e Enve di cui è l’assemblatore ufficiale per progetti ad hoc. Poi c’è tutto il su misura, il tailor made come si dice adesso. Funziona così: lo chiami, gli spieghi quali sono le tue necessità, quando e come vorrai utilizzare le ruote, e lui te le fa recapitare nel giro di 6/7 giorni. «50% di acconto e 50% alla consegna, a meno che tu sia un mio amico. In quel caso 100% di acconto. Perché rischiare di perdere un cliente è un conto, ma rischiare di perdere un amico non lo voglio nemmeno prendere in considerazione».

Alessi

Una vera opera di design deve far muovere le persone, trasmettere emozioni, riportare alla mente ricordi, sorprendere, andare controcorrente…
Alberto Alessi.

Facciamo un gioco, un gioco semplice a dire il vero. Che cosa accomuna una delle più storiche e floride aziende italiane e Dotout? Ce lo siamo fatto spiegare da Riccardo Borgialli, atleta di spicco della nazionale italiana di trail running e Marketing Specialist di Alessi. Come? Durante le sue due ore, semplice!


Fa strano immaginarsi un atleta del genere dietro ad una scrivania. Fa strano che una persona così possa avere altri interessi o essere professionale in altri mondi. A nessuno verrebbe da pensare che un famoso batterista possa anche essere in gamba con le scartoffie burocratiche di un qualunque ufficio. Oppure che un altrettanto noto calciatore possa occuparsi pure di diritto civile, giusto per fare un altro esempio. Alla stesa maniera, quando abbiamo conosciuto Riccardo anni fa, lo vedevamo solo con le sue scarpette da trail ai piedi, tutto infangato e col sorriso di chi, nonostante la smorfia da fatica, stava facendo ciò che il suo talento gli imponeva.

Eppure, e qua sta il bello, il talento certe volte ha diverse facce e capita così che uno dei più brillanti atleti di trail running a livello mondiale, sia anche responsabile marketing di Alessi, una delle grandissime eccellenze italiane. E, a sentire cosa si vocifera nei corridoi, gli venga anche molto bene.

«Tutto è design. Basta muovere qualche passo tra i corridoi dell’azienda, per avere ben chiaro questo concetto. Troppo spesso si da per scontato ciò che ci capita tra le mani. Usiamo una caffettiera e pensiamo sia solo una caffettiera. Spremiamo un’arancia e pensiamo sia solo uno spremiagrumi. Stappiamo una bottiglia e crediamo sia solo un cavatappi. Cavolo, non è così!»
La lezione è chiara. Contestualizzando gli oggetti e vedendoli nelle nostre case, spesso si fa questo errore. Sono prodotti che usiamo da anni e c’è la tendenza a darli per scontati. Ma vedendoli tutti insieme, in esposizione, uno di fianco all’altro, è chiaro ciò che Riccardo vuole intendere.

Volti, mani, idee: questo è ciò che si cela dietro ad ogni storia di successo. Alessi non fa eccezione.
«Siamo circa 300 dipendenti e, buona parte di noi, pratica sport. Lascia stare il mio atteggiamento che, per forza di cose, mi porta ad essere molto professionale anche nell’attività sportiva. Ma qua in pausa pranzo c’è più gente negli spogliatoi che con la forchetta in mano! Abbiamo un campo da tennis, che si tramuta anche in un campo da calcetto. Ci son stati anche dei tornei davvero all’ultimo sangue, delle sfide tra chi si occupa di produzione e chi di lavori più concettuali, chiamiamoli così, che ancora ci ricordiamo con piacere dopo anni. Poi c’è chi va a correre e chi va in bici. Io, personalmente, alterno. Ovviamente la priorità la do alla corsa, ma le due ruote sono fondamentali per me. Un po’ per staccare dal mio allenamento principale, un po’ perché la bici è un’attività che fa decisamente bene alle mie gambe e alla mia forma fisica in generale».

L’azienda è in un posto bellissimo ma anche strategico. Bellissimo perché è sulle rive del Lago d’Orta, uno di quei gioiellini italiani che tutto il mondo ci invidia. Uno specchio d’acqua che nemmeno il miglior designer avrebbe potuto concepire così perfetto.
E strategico perché, per le uscite in bici, è davvero perfetto. Montagne, colline, ripidi strappi e lunghe salite. C’è poi la pianura e ci sono strette vallate senza l’ombra di una macchina. Fiori in primavera e foliage in autunno, il bagno nel lago d’estate e il bianco tutt’intorno della neve invernale.

«Per me e Mauro, il nostro responsabile produzione, il Mottarone è un must. Le nostre due ore preferite. Ma l’avete mai fatto il Mottarone?» È una delle salite più toste che ci siano, in assoluto. Si può salire da due versanti, quello che parte dal Lago d’Orta e quello che parte dal Lago Maggiore.
«Per la nostra pausa pranzo personale saliamo sempre dal lato più vicino, quello che parte dal Lago d’Orta. La prima parte è tosta, la definiamo di riscaldamento: sono circa 6 chilometri che portano ad Armeno. Da qua parte il vero Mottarone: i primi 3 chilometri sono infernali con punte oltre i 18%. Si è per lo più in mezzo al bosco e la visuale non aiuta a sentire meno la fatica. Ad un certo punto si passa oltre gli alberi e lì diventa uno spettacolo: le pendenze diminuiscono, si attestano intorno al 7%, e ti si apre uno scenario incredibile. Lassù, un po’ come se fosse il Mont Ventoux, l’antenna come punto di riferimento… Che sembra non avvicinarsi mai!».

Queste sono le zone dove Riccardo fa la maggior parte dei suoi allenamenti anche di corsa. È qua tra mulattiere, strade forestali e animali selvatici di ogni tipo, che un semplice ragazzo di trent’ anni riesce a conciliare passione e lavoro, due aspetti che in questo particolare caso si alternano e cambiano di posto tra di loro.

«Guarda che spettacolo. Da quassù si vedono 7 laghi: Maggiore, Orta, Mergozzo, Varese, Comabbio, Monate e Biandronno. Se invece alzi la testa verso l’orizzonte hai il Monte Rosa che, nelle giornate di aria pulita, sembra di toccare con un dito. È o non è il paradiso?»

In pausa pranzo d’inverno o post lavoro quando le giornate si allungano, poco importa: due ore sono sempre due ore. Le due ore di Riccardo, come le due ore di Mauro. Esattamente come le tue due ore.

Valentino Pautasso e le sue due ore in bici zen

La falegnameria è un luogo fatto di estremi. Per capirlo bisogna passarci un po’ di tempo: il cliente che ci passa per un veloce appuntamento non può capirlo. Un minuto il rumore è assordante e ti spacca letteralmente le orecchie, quello dopo il silenzio ti catapulta in un mondo fatato dove entra in gioco l’olfatto e vieni travolto dai vari profumi di tutte le essenze di legno. Si passa dalla calma piatta alla tempesta in un click, e viceversa. Un po’ come la vita, a voler ben vedere.

Quella di Valentino è una storia normale, di un ragazzo normale all’interno di una vita normale.
E, come tutte le vite normali, hanno all’interno delle situazioni eccezionali. Spesso da dentro è difficile rendersene conto: c’è bisogno di un occhio esterno per riconoscerle.
È di queste normali eccezionalità che vogliamo parlarvi.

Un’infanzia come tante, quella di Valentino. La mattina a scuola, il pomeriggio tra i compiti e gli allenamenti di calcio, ma appena ha un minuto si fionda in bottega dove suo papà assembla e restaura mobili. «È così che ho iniziato ad appassionarmi al mondo del legno: passavo il tempo facendo buchi, semplici buchi, su normalissime assi di legno. Non mi era concesso altro, ma a me bastava». Il papà a parlare con i clienti e lui lì, in disparte, a giocare con i suoi attrezzi preferiti.

C’è però l’adolescenza e quel momento in cui, forse più per ribellione che per altro, ti immagini un futuro distante da ciò che vivi o che vivono i tuoi genitori. Così chi cresce in una famiglia di agricoltori sogna un lavoro in giacca e cravatta in metropoli e, viceversa, chi nasce in downtown pensa che siano solo ore sprecate quelle passate davanti a un pc e decide che una vita degna di essere vissuta sia a contatto con la natura. È successo a tanti, Valentino incluso.

Ma non sei tu a scegliere la strada: è la vita che sceglie te.

Valentino diventa papà presto, prestissimo, considerando le nostre abitudini. A 19 anni dover avere la responsabilità di un figlio è una cosa che ti travolge. Inutile pensare di cambiare la propria sorte, tanto vale accettarla e rimboccarsi le maniche. Quel lavoro che «mai e poi mai avrei voluto fare» inizi a capire che forse non è così male. Ci provi, ti appassioni, e non lo lasci più.

«Ci vuole tempo, tanto tempo, per poter dire di essere diventati bravi. Solo dopo i 10 anni di pratica costante si inizia a capire come funziona davvero questo mestiere». Tante tipologie di legno, tante lavorazioni e poi tutte le richieste specifiche per i mobili su misura. Basta passare un pomeriggio tra segatura, frese e attrezzi vari per rendersi conto di quanta dedizione è necessaria per imparare.

«La bici nella mia vita è diventata indispensabile. Un momento che mi piace definire zen. Ho passato la mattinata impazzendo al lavoro su piccoli intarsi? È il momento di andare. Un cliente mi chiede un mobile particolare e devo farmi venire un’idea? Inutile ragionarci tra quattro mura: è il momento di andare. Abete o ciliegio? Mogano o Faggio? La risposta verrà da se: è il momento di andare. Questo lavoro è troppo impegnativo e il preventivo è troppo basso. Ma se poi lo alzo il cliente lo accetterà? È decisamente il momento di andare».

Quelle due ore diventano le tue due ore, fondamentali, guai a chi le tocca.


Certe volte si esce la mattina presto e si va in falegnameria in bici, anche se le temperature sono spesso polari: «nonostante ciò non copro mai le orecchie perché quello schiaffo di aria gelida mi serve come sveglia». Il Piemonte occidentale, a ridosso delle Alpi, non è caldo d’inverno, soprattutto la mattina, potete starne certi.
Se c’è una cosa che accomuna tutti i ciclisti del mondo è il susseguirsi di rituali quotidiani, dalla mattina presto fino alla sera tardi. «Arrivare in falegnameria e concedersi un caffè nel silenzio mattutino è una sensazione impagabile. Mi piace berlo ancora vestito da bici, lontano da tutti e soprattutto dal telefono. Tiro via solamente i guanti perché adoro sentire il calore ustionante della tazza».

Certe volte si esce la mattina presto e si va in falegnameria in bici, anche se le temperature sono spesso polari: «nonostante ciò non copro mai le orecchie perché quello schiaffo di aria gelida mi serve come sveglia». Il Piemonte occidentale, a ridosso delle Alpi, non è caldo d’inverno, soprattutto la mattina, potete starne certi.
Se c’è una cosa che accomuna tutti i ciclisti del mondo è il susseguirsi di rituali quotidiani, dalla mattina presto fino alla sera tardi. «Arrivare in falegnameria e concedersi un caffè nel silenzio mattutino è una sensazione impagabile. Mi piace berlo ancora vestito da bici, lontano da tutti e soprattutto dal telefono. Tiro via solamente i guanti perché adoro sentire il calore ustionante della tazza».

Altre volte invece si pedala in pausa pranzo: «preferisco godermi due ore in tranquillità piuttosto che dividermi tra pranzo e sonnellino. Di certo non patisco se mangio una cosa al volo prima di riaprire la bottega. Mettiamola così: fra tutte le paure che possiamo avere di certo non c’è quella di morire di fame». Il sole è più alto e quindi è più semplice avventurarsi su sentieri non battuti con la bici gravel. E così via tra mangia e bevi immersi nei vitigni: siamo nella zona del Roero e qua il vino è una religione. Nebbiolo, Barbera, Arneis, Dolcetto: Valentino è un local e sa praticamente che uva viene coltivata su ogni collina e di quale azienda si tratta. «In questi casi mi vesto, come diceva mia nonna, a cipolla: in salita è sempre meglio aprirsi un po’ e in discesa è necessario coprirsi quel tanto che basta prima di tornare a salire».
«Ogni tanto, in quei pochi giorni in cui il lavoro mi lascia un po’ tranquillo, trovo anche il momento di fermarmi cinque minuti. Due chiacchiere con qualcuno, un caffè, o qualche semplice respiro su una balla di fieno mi servono per ricaricarmi».

Infine ci sono le uscite pomeridiane post lavoro, quelle dove c’è un altro rituale da seguire: «spengo praticamente tutte le luci della falegnameria, così l’atmosfera si fa più intima, quasi ovattata. Scelgo i vestiti giusti, in silenzio. Mi travesto da supereroe praticamente. È una sensazione strana, ma tutti quanti abbiamo bisogno di abbandonare Clark Kent e diventare Superman ogni tanto».
Basta una luce per farsi vedere e si può rientrare a casa anche di notte: da queste parti è più rischioso incontrare un cinghiale che un’auto, se sai scegliere il percorso giusto. «Ogni tanto porto con me la tenda e mi fermo a dormire sulla cima di qualche collina. Magari sono solo a 30 chilometri da casa, ma chi l’ha detto che bisogna andare dalla parte opposta del mondo per trovare l’avventura? Spesso viene anche mio figlio ed è un’esperienza ogni volta indimenticabile».

Questa è la storia di Valentino e della falegnameria Pautasso. Una storia apparentemente normale ma che nasconde un lato come sempre eccezionale.


A noi l’ha raccontata su e giù tra le sue colline, in sella per un paio d’ore.


Le sue due ore.

Due ore. Le tue due ore.

Hai il tuo lavoro, magari ti piace da impazzire, magari no.
Hai la tua vita, la tua famiglia, i tuoi impegni. Alcuni giorni sono splendidi, altri meno.


La vita moderna è una nave da condurre tra onde alte e mari piatti, tra sole che ti bacia in fronte e vento impetuoso. C’è però una scelta che hai fatto e a cui non puoi rinunciare: hai deciso di prenderti cura di te, sempre, nonostante tutto.

Apri l’armadio del supereroe, c’è tutto quello che ti serve. Basta guardarti allo specchio ti sembra già di avere la gamba dei giorni migliori. I pantaloni entrano e ti avvolgono, la maglia ti abbraccia. Il casco ti fa sentire al sicuro, sei pronto alla sfida.
Farà caldo sotto il sole? Bene. Farà freddo e pioverà? Nessun problema.

120 minuti, 7200 secondi, 11mila pedalate.
È tutto un insieme di cuore che batte, di polmoni che si riempiono e si svuotano, di sudore e di aria in faccia. Ti scarichi e ti ricarichi allo stesso tempo.

Dotout è tutto questo.
Aiutarti a stare bene, aiutarti a stare meglio. Aiutarti a ritrovare te stesso. Fa bene a te, fa bene a chi ti sta intorno.

Vi racconteremo storie di persone normali, con lavori normali, dentro vite altrettanto normali.
Normali in apparenza, perché ai nostri occhi sono speciali, sempre e comunque.
Ed è per questo che dedichiamo loro ogni attenzione e una cura maniacale: per fare sì che quell’esperienza, quelle due ore, siano semplicemente perfette.



E ora fuori veloce, è tempo di andare.
Sono solo due ore, ma sono le tue.


#backintwohours